Come amare di più il proprio corpo in un mondo grassofobico?

Una riflessione lucida sui limiti della body positivity, sulla grassofobia e sulle soluzioni da mettere in pratica per cambiare le cose.

Come amare di più il proprio corpo in un mondo grassofobico?

La risposta? È molto complessa. 

Negli ultimi anni grazie ai social il concetto dell’ama te stess* è diventato quasi un dogma, che non sembra poter essere messo in discussione, ma, obiettivamente, non è e non può essere abbastanza. Perché magari ispirat* da questo messaggio, compiamo veramente un duro lavoro volto ad accettarsi nella nostra sfera privata. Investiamo tempo e risorse per riuscire a guardarci allo specchio senza cedere al dismorforfismo corporeo - non soffermandosi in maniera maniacale sulla buccia d’arancia, sulla smagliatura o su quel micro-difetto - o non ritirando la pancia. 

Ma poi usciamo di casa e in un nanosecondo tutto il nostro lavoro finisce nel cesso a causa degli sguardi delle persone, delle taglie non reperibili nei negozi, dei discorsi pronunciati dalla cerchia delle amicizie più strette che ruotano incensurati intorno alla grassezza senza i dovuti trigger warning.

La risposta alla domanda nel titolo sarà anche complessa, ma so bene che non sarà mai soltanto ama te stess* perché è una soluzione troppo anacronistica e che non tiene minimamente conto di un fattore fondamentale quando ci confrontiamo con il nostro corpo: viviamo in una società grassofobica, che non riesce ad ammettere le sue colpe in merito e che non smette di ricordarcelo su base quotidiana. 

Per onestà intellettuale ci tengo a dire che a queste considerazioni ci sono arrivata alla veneranda età di 24+ anni, dopo che tutti gli sforzi che ho compiuto per accettarmi sono finiti nel cesso.

Ma oggi ho la possibilità di rispondere a questa domanda con le consapevolezze che ho acquisito da quando ho iniziato il mio percorso di decostruzione ed è per questo che ho scelto di condividere non una, ma una serie di risposte, tra loro complementari, adatte a questa domanda.

Il problema non è la forma del tuo corpo, ma è la società grassofobica in cui vivi.

L’ho già scritto sopra, ma meglio non dare nulla per scontato: viviamo in una società altamente grassofobica. 

E questa paura del grasso non è nata con noi millennial, ma ha origini storiche ben precise ed è stata tramandata di generazione in generazione fino ad arrivare ai giorni nostri. La grassofobia vive annidata indisturbata in diversi ambiti della nostra quotidianità, rende vittime e carnefici tutti i corpi, MA crea le maggiori discriminazioni nei corpi in cui lo stigma della grassezza è visibile. Ergo, più il tuo corpo è grasso, più questo sarà passibile di discriminazione.

 

Non hai paura di ingrassare di per sè, hai paura delle conseguenze sociali che questo comporta.

Il nostro corpo cambia e cambierà durante il corso della nostra vita per un numero variabile di motivi - non per forza riconducibili al cibo. Potrebbe diventare menomato, allargarsi, restringersi. Eppure ad alcuni di questi cambiamenti, come l’aumento di peso, sono stati assegnati dei valori dispregiativi

Prendere peso, vuol dire rendere lo stigma più visibile. 
Avere uno stigma visibile significa essere più facilmente soggett* ai pregiudizi grassofobici. 
Avere uno stigma visibile significa perdere in tempi fulminei lo status sociale ed essere considerat* inferiore. 

Al netto di tutte queste informazioni e sapendo che l’ingrassamento non corrisponde automaticamente alla compromissione dello stato di salute, ti chiedo: avevi e hai veramente paura di ingrassare per una questione di salute, o per la paura del giudizio della gente?

Smetti di cercare di appartenere/omologarti!

Questa risposta può sembrare un po' fuori contesto, ma in realtà è tra le più fondamentali.

Ci hanno insegnato che per avere un senso, in termini di appartenenza sociale, dobbiamo cercare di arrivare a quelli che sono i gruppi sociali più cool, somigliando ai membri che ne fanno parte il più possibile. Ma di questi gruppi solitamente fanno parte persone che godono dei privilegi sociali più alti e che hanno un certo tipo di corpo: bianco, abile e cisgender.

Raggiungere questo obiettivo nella sua totalità diventa una ossessione pervasiva. Cerchiamo di assomigliare in tutto e per tutto ai membri del gruppo dominante.  Copiamo loro lo stile, le movenze, gli accessori e anche la loro fisicità. Perché, di nuovo, ci hanno insegnato a pensare, con tanto di prove sociali a corredo, che diventando come loro riusciremo ad ottenere quel successo, a cui i nostri corpi non possono accedere.

Eppure, raggiungere un modello spesso inarrivabile, a meno che non ci si spersonalizzi completamente, senza preoccuparci delle conseguenze sulla nostra salute psicofisica, alimenta le nostre insicurezze e ci porta ad odiare ciò che siamo e che probabilmente saremo, corpo compreso. Perché quando si tratta di discriminazioni sociali la retorica del “se vuoi puoi" non funziona. Ed è per questo sono qui a dirti, non cercare di omologarti, trova piuttosto persone con cui poter esprimere liberamente il tuo essere. E il tuo corpo è una parte essenziale di quest'ultimo.

Circondati di modelli che ti rappresentino.

Lo so che è dura, visto che in Italia il racconto dei corpi non conformi allo standard di bellezza dominante è praticamente inesistente e quelle poche volte in cui è presente consiste in personaggi che non sono mai al centro ma che sono splendidi support character che vivono in funzione del protagonista.  

Ma fortunatamente la TV internazionale si sta redimendo e ci sono finalmente dei racconti con al centro persone grasse la cui caratterizzazione non ruota esclusivamente intorno alla loro grassezza, ma ci offre degli sprazzi di normalità. 

Mi viene in mente la serie My Big Fat Diary. 

E anche sulle piattaforme social troviamo moltissimi profili di persone che accompagnano la divulgazione a spaccati di vita quotidiana. perché SORPRESA! Le persone grasse non passano tutto il tempo a piangersi addosso, hanno una vita. Che poi questa venga ostacolata nel pubblico da chi le discrimina è un’altro paio di maniche violente.

Non avere paura di dire o dirti “sono grass*”.

Una grande forma di amore verso il proprio corpo è chiamarlo con i giusti appellativi. 

L’aggettivo grasso è stato martoriato da decenni di diet culture e ancor prima dalla storia che lo ha caricato di un significato dispregiativo.  Per questo abbiamo sempre avuto paura di utilizzarlo e ci siamo nascost* dietro termini come  “in carne", “gonfi*”, “pienott*”, per poter riuscire ad essere il più vicino possibile al gruppo di persone che rappresenta lo standard dominante. Ma fortunatamente i movimenti di resistenza e di lotta contro la discriminazione delle persone grasse hanno fatto e continuano a fare un grande lavoro di riappropriazione del termine.

Dire sono grass* è una presa di posizione sociale, che ti aiuta anche a togliere le lenti grassofobiche e a vedere con chiarezza il tuo corpo per quello che è e per come viene trattato nel contesto sociale che vive.

Abbraccia tutti gli stati d’animo che il tuo corpo ti suscita.

Quando si inizia un percorso di decostruzione, ma in generale durante tutta la nostra vita, è normale farsi schifo.

Siamo esseri umani, proviamo una gamma di emozioni molto vasta è tra questa c’è il disgusto. E se abbiamo la facoltà di provarlo, un motivo ci sarà. Se non devi cedere alla positività tossica nella vita di tutti i giorni, anche perché rischi un burnout emotivo, non devi per forza associare sentimenti e emozioni positive al tuo corpo. Lasciare affiorare tutti gli stati d’animo che il tuo corpo ti provoca, per poi osservali e analizzarli, ti aiuteranno ad inquadrare al meglio le cause del tuo malessere e a cercare le migliori fonti o soluzioni per affrontarle al fine di attenuarle o eliminarle del tutto. 

Compra abiti che ti valorizzino e che ti stiano veramente.

Ti ricordi quando compravi abiti volutamente di taglie più piccole perché pensavi che ti avrebbero aiutato ad iniziare quella dieta che ti avrebbe permesso di entrarci? Non farlo più! Quello è un pensiero da mente corrotta dalla diet culture. Compra abiti che ti stiano e se non ci sono, incazzati per questa mancanza. Dai voce al tuo dissenso. Dai voce alla mancanza di risorse. 

Non fermarti alla body positivity, stand up for your rights! 

Il movimento della body positivity è la prima via di fuga in cui ti imbatti quando cerchi un po’ di respiro da questo mondo grassofobico che odia il tuo corpo. O per lo meno per noi millennial è stato così. Finalmente vedi dei corpi fieri di quelle che vengono definite imperfezioni, che si amano per quello che sono. E, francamente, è bellissimo. 

Ma poi andando avanti ti renderai conto che questo mondo patinato ed apparentemente perfetto presenta molte micro-crepe.  Comincerai a notare che dietro c’è tanto marketing, che i corpi difficilmente sono realmente grassi e che sono quasi sempre monocolore, bianchi per essere precise, abili, cisgender e eteronormati. Inizierà ad infastidirti che i dettami “positivi” che promulgano attraverso i loro profili social - come ama il tuo corpo - sono difficilmente applicabili nella loro interezza nella vita reale di tutti i giorni, specie se si è parte di una delle categorie sopracitate che sono fortemente sottorappresentate nel movimento e più passibili di discriminazione.

Sostanzialmente, inizierai a capire che anche in questo movimento, che dovrebbe essere democratico, la maggior parte dei suoi esponenti gode di precisi privilegi, non se ne accorge e non fa nulla per passare il microfono. Anzi, nei casi più drammatici, potrai notare che queste persone sono le prime ad essere grassofobiche nei confronti dei corpi più grossi dei loro. 

Il movimento body positive serve sicuramente a dare una scossa alle nostre menti contaminate dal virus della grassofobia, ma non deve essere il punto di arrivo. È un punto di partenza per approfondire, ma non devi compiere di adagiarsi sui suoi allori. Renditii conto che la vera partita si gioca fuori dai social e che è una competizione ingiusta, visto che ai corpi grassi non viene neanche permesso di scendere in campo, poiché la visione dei loro corpi fieri in pubblico crea ancora in molt* disagio e disgusto. L’obiettivo è quello di confluire nel flusso ancora embrionale che sta iniziando a rivendicare che: se è vero che tutti i corpi sono validi, meritano allora gli stessi diritti - chiamasi fat acceptance - .

Non avere paura di mettere dei paletti nella tua cerchia di amic* per la tua salute mentale.

Questo è un punto che ritengo molto importante, soprattutto se consideriamo che la cerchia di amici è uno dei luoghi in cui avviene la maggior parte del fat e diet talking, che finisce con il condizionare, volente o nolente, il modo in cui ti guardi allo specchio. E questo vale sia se fai parte di un gruppo i cui membri hanno quasi tutti un corpo conforme o se fai parte di un gruppo composto da pariah a causa del loro corpo. Se senti che i discorsi fatti sull'argomento sono troppo triggeranti, non avere paura di chiedere a* tuo* amic* di non parlare di determinati argomenti in tua presenza o di chiederti se affrontare certe conversazioni ti faccia stare bene.

L’ultimo punto della lista sembra voler annullare tutti i punti precedenti, ma lo trovo il più necessario. 

Acquisire tutte queste informazioni non renderà il rapporto con il tuo corpo migliore e non migliorerà la società nell’immediato (almeno per ora).

Adesso tu mi dirai: a che pro allora darmi tutte queste risposte, se di fatto non risolvono il mio problema?

Lo so, in un certo senso hai ragione, ma sono fiera di aver scritto questa guida perché credo che questi consigli ti serviranno a guardare con occhi meno giudicanti il tuo corpo, a posizionarlo con molta più freddezza, consapevolezza, ma soprattutto con razionalità all’interno della società. Ti aiuteranno a capire alcune quadre, che forse prima non riuscivi a spiegarti, tipo com’è possibile che siamo riusciti a far sbarcare l’uomo sulla luna, ma ancora non è stata risolta l'equazione matematica che permetterebbe di realizzare taglie di vestiti superiori alla 48.

Queste sono le risposte che avrei voluto ricevere a quella fatidica domanda crescendo, ma che non ho mai ricevuto perché ero immersa nel diet e nel fat talking (in famiglia, nel mio gruppo di amici, a scuola) e perché a 17 anni quando mi galvanizzavo del fatto che il mio corpo “in carne” fosse entrato nella gonna di una mia grande amica molto più magra di me, neanche sapevo cosa fosse la grassofobia. Spero che queste risposte servano ad aiutarti a consapevolizzare e a farti sentire meno sol* quando provi questi sentimenti contrastanti. 

Perché non sei sol*, le acque si stanno smuovendo. Delle persone stanno iniziando a dare voce al proprio dissenso anche qui in Italia su come vengono trattate le persone con corpi grassi. La strada è ancora tutta in salita, il movimento è ancora embrionale e non fa troppo rumore, ma ci stiamo assemblando per diventare marea. Perché tutti i corpi sono validi ed è un dovere della società permetterne l’autodeterminazione e fornire loro i diritti essenziali.